Tanti anni fa in un libro scoprii uno stupendo brano di W. Livingstone Larned e me ne innamorai subito.
Presi un foglio, copiai il brano, poi presi lo scotch ed attaccai questo che per me è una sorta di manifesto alla porta d’ingresso, così da avere la certezza di poterlo ricordare ogni giorno al solo vederlo.
oggi, dopo 18 anni, è ancora lì, sicuramente ingiallito dal tempo, ma sempre valido per svolgere la sua funzione, ovvero quella di farmi ricordare che i miei figli (come tutti i bambini e tutti i ragazzi) hanno tutto il diritto di sbagliare ed io(come tutti gli adulti) il dovere sacrosanto di accogliere i loro errori e poi, solo poi, di aiutarli a comprenderli e a non commetterli più.
Nell’educazione dei figli abbiamo una doppia possibilità: o scegliamo di “crescere con loro”, o decidiamo che loro sono “nati già grandi”.
Io ho scelto di crescere con loro, dal primo giorno che li ho sentiti nella pancia, prima ancora di leggere questo brano, ma si sa, la stanchezza, la ripetitività delle “discussioni”, la maggior difficoltà di “gestione” attraverso la “democrazia”, possono far dimenticare che un bambino deve poter sperimentare e sbagliare per poter crescere, deve poter verificare per fare proprio, metabolizzare, ciò che gli viene insegnato… ha diritto al tempo necessario per crescere e diventare un Uomo o una Donna in un tempo adeguato.
Credo fermamente che ogni genitore dovrebbe almeno leggerlo prima di compiere la sua scelta e per questo lo riporto qui
“Ascolta, figlio: ti dico questo mentre stai dormendo con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte. Mi sono introdotto nella tua camera da solo: pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un’ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.
E stavo pensando a queste cose: ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe. Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.
A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto: hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo. Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto “ciao ciao” con la manina e hai gridato: “Ciao papino!” e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: “su con la schiena!”.
E tutto è ricominciato da capo nel tardo pomeriggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare alle biglie e si vedevano le calze bucate. Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoti a casa davanti a me. Le calze costano, e se le dovessi comprare tu, le tratteresti con più cura.
Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell’offesa subita? Quando ho alzato gli occhi dal giornale, spazientito per l’interruzione, sei rimasto esitante sulla porta. “Che vuoi?” ti ho aggredito brusco. Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l’affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai. Poi te ne sei andato sgambettando sulle scale.
Bé, figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un’angoscia terribile: Cosa mi sta succedendo? Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto? Non che non ti volessi bene, beninteso: solo che mi aspettavo troppo dai tuoi pochi anni e insistevo stupidamente a misurarti con il metro della mia metà.
E c’era tanto di buono, di nobile, di vero, nel tuo carattere! Il tuo piccolo cuore così grande come l’alba sulle colline. Lo dimostrava il generoso impulso di correre a darmi il bacio della buonanotte. Nient’altro per stanotte, figliolo. Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.
E’ una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio. Ma domani sarò per te un vero papà. Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti. Continuerò a ripetermi, come una formula di rito: “E’ ancora un bambino, un ragazzino!”
Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo. E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei ancora un bambino. Ieri eri dalla tua mamma, con la testa sulla sua spalla. Ti ho sempre chiesto troppo. Troppo.”
W. Livingstone Larned